
I mercati finanziari non smettono mai di stupirmi. La maggior parte dei giornali sta titolando da giorni qualcosa come: “Crolla il dollaro”.
La realtà è più vicina a quanto dice Alessandra Losito, Country Head Italia di Pictet Wealth Management: “La quotazione attuale del dollaro non è sui minimi storici, ma ad avere una valenza storica è la velocità del suo deterioramento” che fotografa con lucidità il fenomeno: il primo semestre 2025 è stato il peggiore per il biglietto verde dal 1973.
Il dollaro si è deprezzato fino a toccare quota 1,18 sull’euro. Non per motivi “tecnici”, anzi, i tassi Usa sono più alti di quelli europei, ma per motivi politici. A partire dal conflitto aperto tra Donald Trump e la Fed.
Il dollaro ha smesso di seguire il differenziale dei tassi tra USA ed Europa. È diventato un termometro della fiducia (o della sfiducia) verso gli Stati Uniti.
Le conseguenze? Tangibili.
- Le aziende che vendono in dollari ma hanno costi in euro vedono erodersi i margini.
- Gli investitori esposti su Wall Street vedono ridursi i rendimenti in euro.
Entrambi corrono ai ripari. Aumentano le coperture contro il rischio cambio. Ma assicurarsi contro un dollaro debole oggi costa caro: servono 2,2 milioni di euro per coprire 100 milioni di esposizione.
Una dinamica da seguire da vicino, perché non è solo finanza: è geoeconomia, politica monetaria e fiducia nel sistema.