
Nel nostro Paese, il 73,5% delle imprese segnala difficoltà a trovare lavoratori italiani. Per questo, una azienda su tre ha già assunto o prevede di assumere personale straniero extra UE entro il 2026 (fonte:Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne).
E non è una questione di risparmio: solo il 3% lo fa per ridurre il costo del lavoro. È invece una risposta concreta a una crisi di competenze e di demografia. Manca manodopera qualificata, mancano giovani, mancano tecnici e professionisti.
Chi cercano le imprese?
🔧 Il 47% delle imprese cerca operai specializzati
📐 Il 9% tecnici
🎓 Il 5% professionisti altamente qualificati
👔 Solo l’1% cerca manager
Il 69% delle aziende disposte ad assumere stranieri investirà anche nella loro formazione.
Segno che si tratta di una scelta strategica, non emergenziale.
Il Nord Est è in prima linea, con punte oltre il 39% in Trentino-Alto Adige. Ma cresce l’attenzione anche al bacino di italiani di seconda e terza generazione all’estero, in particolare in Sud America: giovani con competenze e legami culturali che possono rappresentare una risorsa per l’Italia di domani.
Come ha detto Riccardo Di Stefano (Confindustria): “Si sovverte il luogo comune che cerchiamo all’estero solo manodopera a basso costo. Le imprese hanno fame di talento e stanno cercando soluzioni.”
Belle parole, un segnale di realismo, apertura e visione. Il ricorso a lavoratori stranieri è una risposta necessaria ma fa scattare più di un campanello d’allarme:
- Non stiamo formando abbastanza tecnici, operai specializzati, profili intermedi.
- Non stiamo rendendo il lavoro attrattivo per i giovani.
- E stiamo pagando decenni di politiche inefficienti su scuola, orientamento e natalità.
Guardare all’estero è intelligente e giusto, ma non dovrebbe mai sostituire un serio piano per ricostruire le risorse interne, perché senza quello, il sistema produttivo del famoso made in italy rischia un lento soffocamento.