I ticket restaurant ci piacciono. Sono soldi in tasca che permettono di coprire, almeno in parte, le spese delle nostre pause pranzo oppure di essere utilizzati anche in altre situazione (mi viene in mente il supermercato).Un strumento di pagamento ormai elettronico, molto comodo.
Al rientro dalle vacanze la novità: dal 1º settembre le commissioni applicate dalle società emittenti ai buoni pasto non potranno più superare il 5% del valore del ticket. Una misura prevista dal DDL Concorrenza, che estende al settore privato ciò che già avveniva dal 2023 nel pubblico.
Questo si traduce in una boccata d’ossigeno per i commercianti. Fino a oggi, infatti, le commissioni potevano arrivare anche al 15-20%, erodendo gran parte del margine e scoraggiando molti esercenti dall’accettare i buoni. Secondo le associazioni di categoria (Fiepet Confesercenti), il nuovo tetto potrebbe tradursi in risparmi complessivi fino a 400 milioni di euro all’anno.
Tutto bello? Nì.
Se cambi, anche giustamente, le commissioni… le società emittenti dovranno rivedere i propri modelli di business e non è escluso che le aziende si trovino di fronte a costi più alti per offrire questo benefit ai dipendenti. E che quindi… non li offrano più. Un cane che si morde la coda.
Però forse arriva un aiuto dal Governo che sta valutando un altro intervento: l’innalzamento della soglia di esenzione fiscale per i buoni pasto elettronici da 8 a 10 euro. Una misura che avrebbe un impatto concreto sul potere d’acquisto dei lavoratori, considerando l’aumento dei costi della vita e dell’inflazione degli ultimi anni. Non sarebbe la prima volta: già in passato l’aumento da 5 a 7 euro aveva prodotto un beneficio netto per lo Stato, con maggiori entrate Iva rispetto al costo della misura.
Il tema, quindi, va oltre la semplice questione tecnica delle commissioni. I buoni pasto sono un tassello centrale del welfare aziendale italiano: nel 2024 le aziende hanno erogato in media 1.000 euro per lavoratore in welfare, un +10% rispetto al 2023. Sommando buoni pasto e altri benefit, il valore arriva a circa 2.700 euro annui per il ceto medio, pari a una o due mensilità nette. Mica bruscolini, sono numeri che mostrano quanto il welfare sia, di fatto, una parte integrante della retribuzione.
Riavvolgendo quindi il nastro il tema è iper interessante: da un lato, più tutele per gli esercenti; dall’altro, la prospettiva di rafforzare un sistema di welfare che integra concretamente i salari e sostiene la produttività. L’obiettivo sarà trovare un equilibrio che renda sostenibile il modello per tutti: aziende, lavoratori ed esercenti.