
La Generazione Z sta riscrivendo le regole del lavoro: non basta uno stipendio, serve un lavoro che abbia “senso”, lasci spazio alla vita privata e offra esperienze vere.
Lo dice l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano nella ricerca “Generazione Z: quali evoluzioni nel mondo del lavoro?”, che ha coinvolto studenti del Politecnico, della Statale e della Bicocca di Milano.
Parliamo dei nati tra il 1996 e il 2012: il 13,5% della popolazione italiana, il 10% della forza lavoro attuale e, soprattutto, il 58% della popolazione lavorativa globale entro il 2030. Sono la generazione più formata di sempre, il 47% dei neoassunti è laureato, e sono cresciuti da nativi digitali, passando per la didattica a distanza. Hanno una forte sensibilità verso temi sociali e ambientali, ma scarsa fiducia nelle istituzioni. Il loro orizzonte è il presente: poche certezze per il futuro e una percezione chiara che il mercato del lavoro italiano sia complesso e poco inclusivo.
Le loro critiche sono due: da un lato, un sistema ricco di opportunità ma difficile da decifrare; dall’altro, aziende e politiche “pensate per i vecchi”, dove i giovani non vengono ascoltati o valorizzati. I dati confermano questa sensazione: tra il 2004 e il 2022 il tasso di occupazione dei 15-34enni è calato dell’8,6%, mentre quello dei 50-64enni è cresciuto del 19,2%. In più, il 16% del PIL è destinato a pensioni, mentre solo il 2% del PNRR è dedicato a politiche giovanili.
L’80% dei giovani intervistati immagina il proprio futuro all’estero. Non a caso, dal 2011 al 2023, 550mila italiani tra i 18 e i 34 anni hanno fatto le valigie. E il 40% ha già cambiato lavoro per una retribuzione ritenuta inadeguata.
Ma il dato forse più interessante è culturale: la motivazione non viene più dal “prestigio” di una posizione o dal possesso di status symbol, ma dall’esperienza quotidiana di lavoro. Due su tre considerano essenziali i servizi per il work-life balance, il 43% difende rigidamente la propria sfera privata evitando email e telefonate fuori orario, il 38% vuole comprendere l’impatto del proprio lavoro sul mondo e sulla propria vita.
E c’è un’altra verità da non ignorare: uno su due si è assentato dal lavoro per stress, ansia o depressione, e uno su due soffre di insonnia legata a preoccupazioni professionali.
Se le aziende vogliono attrarre e trattenere la Generazione Z, dovranno ripensare il proprio approccio: meno status symbol, più senso; meno orari infiniti, più rispetto per il tempo personale; meno gerarchie rigide, più valorizzazione dei talenti. Amen.